Dirk Hendrick Ket è nato nel a Den Helder (Paesi Bassi) con un grave difetto cardiaco.Durante il il secondo ciclo di studi incontra due insegnanti che ne hanno assistito il talento e l'incoraggiamento : Johan C. Kerkemeijer, suo insegnante di disegno, gli consiglia di valorizzare il suo talento artistico e indirettamente verso le tecniche di pittura a olio e Henri Adrien Naber, insegnante di chimica e fisica, teosofo convinto che lo influenza nella visione della vita e delle cose. Dopo gli studi d'arte alla Kunstoefening, l'Accademia di Arnhem, tra il 1922 e il 1925 debilitato dalla stanchezza cronica indotta dalla sua malattia e da crescenti fobie, soprattutto l'agorafobia, vive appartato, con i genitori in una piccola cittadina proprio al centro dei Paesi Bassi che sarè la dimora dalla quale, dopo il 1930, non uscirà più. Sarà l'evoluzione del suo volto, nei suoi autoritratti, a raccontare da questo momento con crudezza, l'avanzamento progressivo della malattia, cianosi compresa. Morirà pochi giorni prima di selezionare trentotto anni. Mentre i primi dipinti esplorano suggestioni postimpressioniste, dal 1929 appare fortemente influenzato dalla Neue Sachlichkeit e quindi dal Magischer Realismus, termine coniato dal critico d'arte Franz Roh in una celebre saggio del 1925. Nonostante l'isolamento, riesce comunque a esporre. Tra il 1932 e il 1940 sue opere figurano in mostre collettive di pittura olandese contemporanea, tra Amsterdam, Eindhoven e L’Aja, ma anche a Bruxelles, Venezia e Parigi. Nelle sue meticolose nature morte sono presentati pochi elementi. Bottiglie, una ciotola vuota, uova, strumenti musicali, un grappolo d'uva, ritagli di giornale. Ket propone questi oggetti comuni con tagli angolari, visti ora dall’alto, ora in scorcio.
Ma è nell'interpretazione di se stesso che Dick apre una pagina tra i più toccanti della pittura, come nell'Autoritratto del 1932. In una composizione che si diverte a evocare i classici della ritrattistica del Rinascimento tedesco e italiano, vedere il suo aspetto bizzarro e sofferente, contraddistinto dalla strana pigmentazione della pelle e dalla forma delle dita “a bacchetta”, sintomatiche della malattia, che si colorano sempre più di grigio-blu. Ha la camicia aperta sul torace, a evocare il suo problema cardiaco. E stringe con forza il fiore nella brocca, per dire che la vita non è sfuggirà senza lottare. D'altronde, nella bassa parlata fiamminga, significa proprio "cavalluccio", "ragazzino". Nell’angolo in basso, a destra, ha dipinto capovolta la parola “FIN”, quasi a ricordare la morte che incombe. In una miscela di ironia e tragedia che lo rende, non solo come pittore, una grande figura del Novecento.
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